La Giulietta di Sarajevo si chiamava Admira. Il suo Romeo si chiamava Boško.
Non sono morti in seguito a un tragico malinteso, ma per una fucilata piovuta dall'alto.
Non sono morti sulla scena di un palco teatrale, ma su una strada che costeggia la Miljacka.
La Miljacka è un fiumiciattolo che taglia in due Sarajevo e così faceva anche nel 1992. Nei mesi in cui fioriva la primavera di quel funesto anno, in Bosnia-Erzegovina è cominciata la guerra. Sulle colline attorno a Sarajevo sono comparse figure in divise militari, con fucili in mano e stemmi serbi sull'avambraccio. Era cominciato l'assedio della città.
Le truppe serbe erano dissipate lungo le colline, nei grattacieli abbandonati e sul confine che divideva l'occupata Grbavica dal resto della città. L'obiettivo era annientare la capitale, annientare la neonata nazione (da poco indipendente da Belgrado) e poco importava se, per raggiungere questo fine, si sarebbe passati sui cadaveri di bambini, donne, uomini o anziani.
Poco importava se quelle figurine che apparivano nei cannocchiali di tiro erano persone. Poco importava se quelle persone cadevano, secondi dopo, esangui e senza vita.
Ogni giorno cadevano granate, esplodevano mine, venivano fucilati civili intenti ad attraversare un incrocio. I cecchini respiravano nelle loro fredde stanze, nei grattacieli abbandonati, caricavano il fucile, sceglievano la vittima e...
Una vita si spegneva, in un istante, senza rendersi conto dell'accaduto.
Vi erano luoghi prescelti, incroci della morte, nei quali i cecchini uccidevano le proprie vittime quotidianamente, Succedeva talvolta che per qualche giorno si assentassero e all'apparenza lasciassero tali incroci "incustoditi". Un bastardo trucco per far sì che la gente tornasse a frequentarli, illudendosi che i cecchini li avessero trascurati. Una volta finita l'astinenza, il cecchino di turno aveva altra carne con cui giocare. Altre vite con cui giocare. E ricominciava a giocare.
Admira era bosniaca, Boško tradiva origini serbe. Le loro famiglie erano del tutto favorevoli al loro amore. Sognavano una casa, dei bambini, la vecchiaia.
Una vita insieme.
Quando la guerra bussò alle porte, la famiglia di Boško trovò modo di uscire dalla città.
Lui non seguì i suoi genitori. Non poteva lasciare Admira da sola, in preda a quel mucchio di fanatici con le divise militari. Credevano che la guerra sarebbe durata poco, che il sole sarebbe tornato a splendere...
I giorni si susseguivano, invece, con lo stesso dipinto di sangue per le vie della città e la stessa melodia di artiglieria nell'aria. Admira e Boško evitavano, come in un macabro gioco, le pallottole e le granate e le mine. Ogni giorno un'incognita, ogni giorno con la speranza di vedersi alla sera.
Nel 1993, si aprì un varco: l'esercito serbo accordò l'uscita dei due dalla città in seguito a trattative condotte con l'esercito bosniaco. Per Admira e Boško sembrava la fine di un tunnel di orrori. Rimaneva un ultimo ostacolo: percorrere la via che costeggia la Miljacka con una sponda vigilata dall'esercito bosniaco, ma l'altra costellata di cecchini dell'esercito serbo. Alla fine della via, il posto di controllo che avrebbe consentito l'uscita dalla città.
L'accordo parlava chiaro: Admira e Boško sarebbero dovuti uscire illesi dalla città.
I due innamorati percorsero la via, mano nella mano, correndo verso la libertà, sotto gli occhi dei due eserciti.
Uno sparo. Boško cadeva a terra, morto. Un altro sparo. Cadeva Admira, in fin di vita.
Rantolante, in un ultimo respiro, gettava le braccia attorno al corpo esanime del ragazzo, abbracciandolo, in un ultimo gesto di amore.
Sarebbero rimasti così, per sette giorni. Due anime abbracciate in mezzo al campo di battaglia.
Due anime uccise da un cecchino serbo. Due anime come tante altre in quegli anni, divenute emblema di una città che non conosce divisioni. Una città che non conosce bosniaci, serbi o croati. Una città dove la preghiera del muezzin non è disturbata dal suono delle campane della chiesa, né lo è quella del rabbino ebraico.
Una città con uno spirito unico, che hanno cercato di uccidere con le armi.
Forse riuscendoci, forse no.
Admira e Boško sono stati raccolti dopo una settimana, da dei prigionieri dell'aggressore serbo, e seppelliti, insieme, nel vasto cimitero di Sarajevo.
Dino
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