mercoledì 16 dicembre 2015

Perché è necessario proteggere i cattolici della Bosnia-Erzegovina?

Nella Bosnia-Erzegovina, uno dei principali gruppi costituenti del Paese è di religione cattolica. La sua popolazione è in netto calo dagli anni '90 e oggi costituisce circa il 15% del totale.
I cattolici sono stanziati prevalentemente nell'Erzegovina (la parte meridionale del Paese), ma sono presenti anche nella parte centrale della Bosnia, come nella capitale Sarajevo e, in gran numero, nella parte settentrionale del paese, vicino al fiume Sava. Possiedono il doppio passaporto, bosniaco e croato, con la tendenza a privilegiare il secondo in fatto di sentimento nazionale.
Negli ultimi anni, però, il sentimento di identità ha cominciato a riconoscere una doppia nazionalità e una doppia patria (sia croata che bosniaca), soprattutto nella popolazione più giovane.
Il netto calo della popolazione cattolica in Bosnia-Erzegovina è preoccupante: si sono rese conto di questo anche figure di grande spicco, come Papa Francesco o la Presidente croata Grabar-Kitarovic.
Questo calo rischia di accentuarsi e lasciare il Paese senza la sua essenziale componente cattolica: non perché ci sia una persecuzione o una grande ostilità nei confronti della stessa, ma per ragioni di qualità della vita. La Bosnia-Erzegovina è un paese uscito con le ossa rotte dal conflitto per la secessione degli anni '90, trasformatosi poi in guerra civile, e la sua economia è allo sfascio, al pari delle istituzioni. I giovani cercano di trovare un futuro all'estero e l'emigrazione è sempre costante. La popolazione cattolica è favorita in qualche modo in questo processo, grazie al passaporto croato che di recente è diventato europeo e permette di espatriare con grande facilità. I flussi sono diretti prevalentemente verso la vicina Croazia oppure verso le nazioni dell'Europa Centrale. Questo flusso provoca, specialmente nella parte cattolica della popolazione, un trend demografico negativo: i giovani espatriano e rimane soltanto la popolazione più anziana.
Questo andazzo rischia di essere particolarmente negativo per un Paese anomalo come la Bosnia-Erzegovina, alla ricerca di un equilibrio prima di tutto sociale e demografico ancora dalla sua nascita nel 1992. Anche perché un Paese tradizionalmente pluriconfessionale perderebbe il suo significato (o quel poco che ne è rimasto), perdendo anche una sola delle sue confessioni costituenti; cattolica, musulmana o ortodossa che sia.
In questo senso, è stata importante la meravigliosa visita di Papa Francesco, a Sarajevo, nell'estate di quest'anno e la fraterna apertura della Croazia alle questioni bosniache, grazie alla Presidente Grabar-Kitarovic. Il nuovo impegno di Dragan Covic, capo del maggiore partito rappresentante i cattolici, è un passo avanti nella stessa direzione, sulla tortuosa e accidentata strada verso il consolidamento (o la vera costituzione) di un paese nato sotto l'egida del cattolicesimo, che ha poi dato vita a tante diramazioni in ambito religioso.
Oltre questo, è fondamentale
che la Bosnia-Erzegovina conosca presto almeno un leggero passo avanti riguardo l'economia e la qualità della vita, in modo da potere offrire ai propri cittadini un'esistenza degna nella propria terra di origine.

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