Il tema più caldo delle ultime giornate è quello riguardante il lungo viaggio dei profughi, in prevalenza siriani, verso l'Europa. Definire queste persone "profughi" invece che "immigrati" dovrebbe rappresentare una convenzione da rispettare per chiunque tratti del tema, ma come spesso succede, i giornalisti ignorano questa fondamentale distinzione in favore di titoli più spettacolari, volti al populismo. In prima linea fra questi sono i tabloid e le televisioni britanniche che proprio non vogliono rinunciare alla produzione di cartastraccia da sottoporre ai propri avidi lettori. Un quadro migliore arriva dalla Germania, le cui televisioni hanno voluto porre davanti agli occhi del proprio pubblico le differenze fra "profughi" e "immigrati". Un profugo è colui che fugge da una situazione di guerra e pericolo (come coloro che fuggono da Siria, Afghanistan e diversi paesi africani), mentre un immigrato è colui che lascia il proprio paese alla ricerca di migliori opportunità economiche, senza lasciarsi alle spalle una situazione disperata.
Pertanto, il tema dell'accogliere o meno questa grande massa di persone deve toccare questa distinzione, in quanto a un profugo deve essere offerto asilo politico per convenzioni internazionali (e quindi per legge), mentre l'Europa verso un immigrato economico non ha questi obblighi.
Chiaramente, in una situazione come quella odierna la precedenza andrebbe data ai profughi piuttosto che agli immigrati economici, ma soprattutto non andrebbe mai messo in discussione il diritto dei profughi all'asilo politico. Ancora una volta la Germania si è mostrata il paese più rispettoso degli obblighi internazionali, annunciando per voce di Angela Merkel di essere disposta ad accogliere 800.000 persone. Certo, a Heidenau i manifestanti di estrema destra hanno fatto passare tutta un'altra idea, ma l'ufficiale condanna delle violente proteste da parte della stessa cancelliera e della grande maggioranza della nazione mostra una Germania in un netto vantaggio rispetto alle amiche Francia e Gran Bretagna, intente a giocare a palla con i profughi a Calais.
Non meno signori di questi ultimi sono stati i colleghi nell'Est Europa: cechi e slovacchi hanno deciso di marchiare i profughi con codici di identificazione mentre gli ungheresi si sono muniti di un lungo filo spinato contro gli stessi, riproponendo "tecniche sociali" appartenenti a uno dei periodi più oscuri dell'umanità. In patria, abbiamo un "politico" come Matteo Salvini, che sarà felice di queste soluzioni, confermandosi ancora pastore di un gregge che si ciba di un populismo fra il mediocre e il ridicolo.
Segnali positivi, invece, arrivano da un paese che potrebbe impartire lezioni di educazione e civiltà a mezzo mondo come l'Islanda. Sempre un po' dimenticata, l'isola del Nord ha già ospitato un buon numero di profughi e il governo aveva pensato di offrire soltanto altri 50 posti. Gli islandesi si sono mossi prima via social network e poi sono scesi in piazza per dare asilo a un numero ancora maggiore di profughi. 10.000 i posti offerti dai cittadini islandesi, disposti a ospitare i profughi, sotto lo slogan (per una volta positivo): "Se non sta succedendo qui, non vuol dire che non stia succedendo". Anche la Croazia si è fatta avanti per ospitare i richiedenti asilo attraverso la presidente Kolinda Grabar-Kitarovic. Certo, la Croazia riceverà così anche dei compensi economici, ma ciò non sminuisce il gesto. Lodevole pure la Serbia, che ospita un discreto numero di siriani e che ha allestito al momento dell'arrivo dei profughi strutture di accoglienza. Servizio che dovrebbe apparire scontato, ma in Ungheria evidentemente non sono dello stesso parere. I profughi oggi sono a Budapest senza strutture di accoglienza e sostegno, dopo avere comprato dei regolari biglietti per la Germania e essersi visti chiudere in faccia la stazione ferroviaria, tramite verso una nazione che ha eccome allestito delle strutture di accoglienza e che ha già dichiarato la volontà di ospitare queste persone.
La Germania ha già saputo in passato integrare perfettamente profughi e immigrati fino a farne la propria forza, creando uno stato multiculturale, economicamente stabile. La prima situazione è stata la riunificazione delle "due Germanie" del 1991, poi l'accoglienza di croati e bosniaci in fuga dalla guerra nei Balcani e i tantissimi, tantissimi immigrati economici che sono giunti e che continuano a giungere nel Paese.
Le principali tesi contrarie a quello sopra esposto, trascurando "Spariamo ai barconi" e "Rimandiamoli a casa loro", sono la paura di un contrasto culturale e religioso, dovuto alla religione musulmana della maggioranza dei profughi, e l'idea che questi siano comunque immigrati per fini economici.
La prima tesi non è da sottovalutare, visto anche il caso riportato dalla tv macedone riguardante dei profughi che si sono rifiutati di accettare viveri e acqua dalla Croce Rossa macedone perché recante un simbolo cristiano. Il problema si collega facilmente a quello dell'integrazione, immediatamente successivo all'accoglienza, da affrontare attraverso un percorso di educazione alla nuova civiltà che ospita i profughi, i quali mai dovrebbero mancare di rispetto alla nazione e alle istituzioni che hanno loro garantito un asilo politico. Inoltre, la Siria è stato uno dei paesi in maggiore crescita e con uno dei tassi di educazione più alti dell'area orientale prima del conflitto, tant'è che molti di coloro che vengono da Damasco e dintorni sono persone che hanno ricevuto un'educazione universitaria e sono in grado anche di aiutare i paesi che decidono di ospitarli. Sembra che questo dettaglio non sia sfuggito alla cancelliera Merkel, mentre i paesi dell'Est Europa, che pure potrebbero beneficiare di questo fatto, sembrano trascurarlo, sottolineando per l'ennesima volta un apparente ritardo nella mentalità, nella civiltà e nell'educazione della propria classe politica in primis, e poi anche di chi la sostiene.
L'idea che tantissime persone, se non tutte, fra quelle in viaggio siano immigrati economici è ventilata in diverse regioni europee. Ovviamente, nessuno di coloro che sostiene questo fatto lo ha dimostrato e potrebbe farlo solo operando in modo più organizzato e efficiente, durante l'accoglienza dei profughi. Rimandare a casa gli immigrati economici, tutelando così anche i diritti di chi è in fuga dalla guerra, sarebbe senz'altro un'operazione corretta, ma gli ungheresi e i loro compari sarebbero davvero in grado di riuscire in qualcosa del genere?
Dino